Nativity

«Nativity», l’umiltà vede il sacro
La vicenda terrena di Gesù non cessa di ispirare raffigurazioni, dall’immenso patrimonio iconografico agli oltre duecento film sulla storia di Cristo. L’aspetto più affascinante di questo incessante sforzo sono le soluzioni sempre diverse ogni volta riproposte da quanti si cimentano in questa impresa e si accostano al mistero, nel rinnovare la presentazione degli avvenimenti comuni, ma anche prodigiosi e incomprensibili, narrati dalle fonti evangeliche. Così avviene anche nel bel film sulla nascita di Gesù, «Nativity», che uscirà il primo dicembre, vigilia dell’Avvento. La regista Catherine Hardwicke ha scelto di rappresentare il concepimento di Gesù al momento dell’Annunciazione attraverso il celebre passo dal primo libro dei Re (19, 11-13): è una brezza leggera a segnalare la presenza di Dio, insieme al volo di una colomba, figura dello Spirito Santo. Ma non è questa l’unica suggestiva novità interpretativa di un film che ha soprattutto accentuato la normalità di Maria e di Giuseppe, esseri umani senza qualità particolari, se non una grande umiltà e una capacità stupefacente di accettare la volontà di Dio, accogliendo il prodigio che irrompe nelle loro vite, in questo modo deviate dai progetti in cui i due avevano sperato. Maria e Giuseppe riescono a superare i gravi disagi a cui vanno incontro – dalle maldicenze ostili di Nazareth alle difficoltà del lungo viaggio a Betlemme, sino alla fuga in Egitto – facendo affidamento sulla loro semplice fede. Si capisce subito che lo straordinario privilegio toccato a questa coppia sarà pagato a prezzi altissimi: con una totale rinuncia a una normale vita familiare, come entrambi avvertono sin dal primo momento. Il film narra la storia dal punto di vista di queste persone normali, ma capaci di credere all’impossibile e di aprirsi a Dio. Gli altri capaci di vedere – con i pastori che rappresentano gli umili – sono i magi, sapienti che con animo puro sanno cercare la verità. L’umiltà e la ricerca della verità sono premiate con la contemplazione del Messia, l’unica vera felicità concessa agli esseri umani che vogliono cercarla e sanno aspettarla. Forse non raffinato come «The Passion» – le citazioni in ebraico sono poche, meno erudita la ricostruzione storica, non così ricercate le citazioni iconografiche e filmiche – «Nativity» è però più facile da accettare perché meno violento. Certo la spietata tirannide di Erode è resa con efficacia fino alla strage dei bambini di Betlemme, straziante sacrificio di piccoli innocenti per la salvezza dell’umanità, ma il clima prevalente è l’attesa concreta, vissuta nella quotidianità di povera gente che sa aprirsi al sacro e al prodigio improvviso. E il film è toccante nel ricordare non solo come la fede apra sempre i cuori alla speranza, all’imprevisto e al nuovo, ma anche come ogni nascita – non solo quella del bambino Gesù – costituisca un avvenimento prodigioso e sacro, e un’apertura al futuro dell’umanità. Anche se sembra che noi, questo, l’abbiamo proprio dimenticato.

Lucetta Scaraffia (Avvenire 22/11/2006)

Arriva “NATIVITY”, nel solco di Gibson
MILANO – Non era facile sottrarre il racconto della nascita che ha diviso in due la storia e che miliardi di persone, pur non credendo ogni giorno inconsapevolmente celebrano quando, per esempio, scrivono la data in una lettera, dall’atmosfera dolciastra della fiaba alla quale ci hanno purtroppo abituati tanti sceneggiati Tv. Non era facile rendere lo scarno e cronachistico racconto degli evangelisti Matteo e Luca (gli unici a raccontare le circostanze della nascita di Gesù) realizzando un film dal forte impatto emotivo che non scivola mai, se non all’ultimissimo minuto dei novanta della pellicola, nel quadretto devozionale e nella scenografia da presepio.
Quella storia e quella nascita così nascosta e così anomala, ripetuta da duemila anni, intrisa di violenza fin dal primo momento a causa della strage degli innocenti voluta da re Erode, arriva nelle sale il 1° dicembre con il film Natività. Bisogna dare atto alla regista Catherine Hardwicke e alla protagonista femminile, la brava Keisha Castle-Hughes, sedicenne attrice australiana nelle cui vene scorre sangue maori, venuta alla ribalta quattro anni fa come interprete del film La ragazza delle balene, di aver realizzato una trasposizione della storia del Natale non banale né addolcita, molto fedele al testo evangelico e accurata nei particolari. Nativity avvince, pur narrando una trama tra le più note dell’umanità. Il leit-motiv della pellicola è la frase biblica tratta dal primo libro dei Re: «Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero». E Dio era lì. Un «vento leggero» è quello che soffia nella scena cruciale dell’annunciazione, accompagnata da una delicata rivisitazione in chiave moderna della melodia dell’inno gregoriano Ave Maris stella, così come i momenti più belli del film sono quelli dove il gioco «leggero» degli sguardi dice più di tante parole. Lo sguardo della Madonna, quello di Giuseppe (Oscar Isaac), quelli imbarazzanti e imbarazzati della gente del villaggio di Nazaret di fronte alla gravidanza di Maria, rimasta incinta prima di andare ad abitare con il suo promesso sposo, quello del vecchio pastore al quale viene fatto il «dono» di essere il primo ad adorare il neonato di Betlemme.
Anche se la casa di produzione è diversa, regista, sceneggiatori e attori pure – gli unici punti di contatto sono lo stesso costumista Maurizio Millenotti e la stessa casa distributrice, la Eagle Pictures – Nativity risente molto della Passione di Cristo firmata da Mel Gibson. Non solo per la fedeltà della ricostruzione storica (la Hardwicke prima di diventare regista ha fatto la scenografa e ha voluto che ogni dettaglio del set fosse accuratamente fedele alle usanze della Palestina di duemila anni fa), ma anche nella colonna sonora, negli effetti, nei dettagli della fotografia. Un tributo esplicito e voluto, è il tema musicale scelto per la scena della nascita di Gesù, identico a uno dei brani della Passione di Gibson …… Ma ad accomunare le due pellicole è anche il set: molte scene di Nativity sono state girate infatti a Matera, dove ormai i grandi autori, da Pasolini a Gibson hanno individuato la loro Gerusalemme. Riuscita è anche la resa delle figure dei re magi (tre secondo la tradizione, anche se nei vangeli il numero non è indicato), saggi persiani capaci di scrutare le costellazioni e di accorgersi dell’eccezionale congiuntura astrale annunciatrice dell’arrivo del messia. Come da copione il «cattivo», Erode (Ciaran Hinds), che spietato lo era davvero.
Il film scade nell’ultima scena, subito dopo la nascita, quando nel giro di pochi istanti, dopo l’adorazione dei pastori e dei magi, e un’inquadratura da presepio con tanto di raggio luminoso che inonda la grotta di Betlemme, Giuseppe e Maria fuggono in Egitto quella notte stessa, perché Erode ha dato ordine di uccidere tutti i bambini sotto i due anni. Fatti che dallo stesso racconto evangelico si comprende essere avvenuti in momenti diversi.

Andrea Tornelli (Il Giornale 10/11/2006)

Da Hollywood un Natale in poesia
Il primo dicembre, con buon anticipo rispetto al Natale, esce nei cinema in contemporanea mondiale The Nativity Story, la storia della nascita di Gesù, una pellicola che si preannuncia come un’«azione di contrasto rispetto ai soliti film natalizi», secondo la regista Catherine Hardwicke. A rendere l’opera speciale è certamente il tema – la storia di Maria e Giuseppe, dall’annunciazione, alla nascita del Salvatore, alla fuga in Egitto – e le circostanze che ne hanno permesso la realizzazione, ovvero un nuovo caso di apertura da parte di Hollywood ad un soggetto cristiano.
Il filone evangelico era stato già testato due anni fa da Mel Gibson con La passione di Cristo, un successo strepitoso a livello internazionale, che aveva però suscitato anche polemiche per la violenza di alcune scene. In questo caso, ha spiegato lo sceneggiatore Mike Rich, «ci siamo invece accertati che la storia, pur presentata in modo molto realistico, rimanesse accessibile a un pubblico di famiglie».
A spingere Rich a comporre la sceneggiatura del film sarebbe stato il desiderio di raccontare la Natività dal punto di vista dei suoi protagonisti e quello di offrire un piccolo antidoto al progressivo declino del senso religioso del Natale, negli Stati Uniti e non solo. A permettergli di trasformare il copione in pellicola è stato invece l’interesse per il progetto da parte di due nomi di Hollywood, Marty Bowen della United Talent e il produttore Wyck Godfrey, entrambi convinti cristiani – il primo cattolico, il secondo pentecostale – in cerca di qualche soggetto cinematografico di maggior spessore rispetto all’abituale offerta natalizia. A queste circostanze si è poi aggiunta la disponibilità della casa cinematografica New Line, che tra l’altro intende presentare la Natività in anteprima assoluta in Vaticano. Dopo una speciale proiezione che si è tenuta per esponenti delle università pontificie ed esperti della comunicazione del mondo cattolico, i commenti sono stati infatti più che favorevoli, sia per la qualità poetica del racconto che per la sua fedeltà testo scritturale. Le autorità vaticane hanno così dato l’assenso a una proiezione del film nell’Aula Paolo VI, alla quale parteciperà anche buona parte del cast del film. Il tutto avrà luogo domenica 26 novembre, introdotto da una preghiera natalizia scritta da monsignor Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana, letta da Gigi Proietti.
La regista Catherine Hardwicke – già scenografa di film come Vanilla Sky e poi autrice di un piccolo successo come Thirteen (2003) – era certa di non voler trattare un tema religioso, dopo aver trovato il film di Gibson «violento e difficile da guardare». Tuttavia, una volta realizzato che avrebbe potuto «trasformare icone in persone reali», il progetto non solo ha preso forma, ma è stato completato nel tempo record di meno di un anno. Girato a Matera – proprio come la Passione di Cristo – il film ha come interpreti la sedicenne Keisha Castle-Hughes – la più giovane candidata all’Oscar come attrice protagonista, nel 2004, per La ragazza delle balene – nei panni di Maria, e Oscar Isaac in quelli di Giuseppe.
Uno dei messaggi che Nativity intende trasmettere è la profonda umanità dei due protagonisti e la loro straordinaria prova d’amore: «mi auspico che il pubblico possa sentirsi in sintonia con la visione e magari trovarvi ispirazione per superare le proprie sfide e le proprie difficoltà» ha detto la regista. «Spero che la gente possa uscirne con una considerazione nuova del sacrificio che Maria e Giuseppe furono disposti a fare. Abbiamo dimenticato cosa dev’essere stato il viaggio a Betlemme, con i dialoghi, le paure… spero che gli spettatori possano percepirlo», le ha fatto eco lo sceneggiatore Rich.
«Verso la fine, la pellicola sembra trasportarti in un luogo spirituale, un luogo sacro», ha confidato sempre la Hardwicke, sostenendo che il film le ha insegnato molto sulle proprie radici spirituali, spingendola a rinsaldare il legame con la propria religione, quella ebraica.

(Avvenire 12/11/2006)

Proiezioni:

  • (Cineforum 2006/2007)
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